Il Vangelo del "Dio con noi".
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, svoltosi negli anni dal 1962 al 1965, stabilì le norme di carattere generale che indicavano la strada da percorrere
per realizzare la riforma liturgica. Partendo dal presupposto che nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema,
i Padri conciliari rilevarono la necessità di dover prevedere un rinnovato e più abbondante impiego dei tesori della Bibbia all’interno delle
celebrazioni sacramentali «
in modo che, in un determinato numero di anni, [fosse possibile leggere] al popolo la maggior parte
della sacra Scrittura1». Si deve considerare che prima della riforma
voluta dal Concilio, nelle celebrazioni liturgiche venivano proposti con ripetitività solamente pochi testi tratti da alcuni libri della Bibbia,
rinunciando così alla lettura del vasto patrimonio della sacra Scrittura. Con la riforma liturgica, allora, i Padri conciliari vollero fare
in modo che nelle celebrazioni liturgiche venisse restituita ai fedeli la ricchezza dei testi biblici nella sua pienezza e bellezza.
Così, per corrispondere alle indicazioni del Concilio Vaticano II, nell’applicazione della riforma liturgica venne disposto che le letture proclamate
durante la Santa Messa nelle domeniche e nelle principali solennità dell’anno liturgico venissero suddivise in tre cicli annuali contraddistinti dalle
lettere “A”, “B” e “C”. In questo modo, nel corso di un triennio, è possibile meditare sul mistero della storia della Salvezza ascoltando un numero molto
ampio di testi della Sacra Scrittura e al tempo stesso è garantito che solo ogni tre anni sono riproposti i medesimi testi biblici
2.
Gli anni di ciascun ciclo sono caratterizzati dal Vangelo sinottico che si legge nel corso della maggior parte delle domeniche e delle solennità.
Domenica 27 novembre, prima di Avvento, è iniziato un nuovo anno liturgico, quello contraddistinto dalla lettera “A”, nel corso del quale saremo accompagnati
principalmente dai brani tratti dal Vangelo secondo Matteo
3. Vorrei, allora, cercare di
fornire qualche breve informazione sull’autore del Vangelo e sulla composizione del testo, per fare infine un accenno sulla sua prospettiva teologica.
Matteo appartiene al gruppo dei dodici apostoli. Dai racconti dei Vangeli sinottici sappiamo che egli era un pubblicano, cioè esercitava il mestiere di esattore
delle tasse per conto dei romani nella cittadina di Cafàrnao, luogo ove avviene l’incontro con Gesù e la sua chiamata al discepolato
4.
Sappiamo, per aver già commentato nelle scorse settimane alcuni passi evangelici che ne parlano, che secondo le concezioni di quel tempo i pubblicani,
poiché si occupavano – non sempre in maniera onesta in realtà – di riscuotere le tasse per conto dell’autorità occupante romana, erano detestati dal popolo
ed erano per questi motivi equiparati ai peccatori e ai ladri. Una prima osservazione che è possibile fare a questo proposito è che «nella figura di Matteo, dunque,
i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia
di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza
5».
Matteo, il cui nome in ebraico significa «
dono di Dio», risponde alla chiamata di Gesù senza tentennamenti, decidendo di iniziare un’esistenza nuova:
i vangeli ci dicono che egli si alzò, abbandonò tutto quello che lo legava alla sua precedente vita e seguì Gesù.
La tradizione della Chiesa riferisce che il Vangelo di Matteo fu il primo ad essere scritto. Papia, vescovo di Gerapoli, secondo la testimonianza riportata
dallo storico Eusebio di Cesarea, attorno all’anno 130 riferisce che «Matteo raccolse le parole (del Signore) in lingua ebraica, e ciascuno
le interpretò come poteva
6». Lo stesso Eusebio aggiunge che: «Matteo, che dapprima aveva
predicato tra gli ebrei, quando decise di andare anche presso altri popoli scrisse nella sua lingua materna il Vangelo da lui annunciato;
così cercò di sostituire con lo scritto, presso coloro dai quali si separava, quello che essi perdevano con la sua partenza
7».
Anche altre testimonianze successive, tra cui quelle di Ireneo, Tertulliano e Clemente Alessandrino, confermano la testimonianza di Papia circa
l’antichità del Vangelo di Matteo. Nonostante la tradizione ecclesiale più antica e le numerose testimonianze, in realtà, però, a noi non è pervenuto
nessun testimone storico di una versione aramaica del Vangelo di Matteo. I testi più antichi rinvenuti del suo Vangelo sono scritti in greco e sono inoltre
successivi al Vangelo di Marco. In merito a questa discrepanza sono state formulate molte ipotesi sulle quali, per brevità di spazio, non mi soffermo
ma quello che rimane ad oggi è che, in base ai ritrovamenti storici, il testo a noi noto più antico dei Vangeli è quello di Marco, pur tenendo
in necessaria considerazione l’autorevolezza e l’autenticità della tradizione e delle testimonianze storiche cristiane citate.
Il Vangelo di Matteo è stato scritto, dunque, verso l’anno 80 per la comunità cristiana di Antiochia, che doveva essere formata da cristiani provenienti
dal giudaismo. Egli usa, infatti, espressioni tipiche dell’ambiente giudaico (la principale è «
Regno dei Cieli» che si trova solo in Matteo) e si riferisce,
senza spiegarle, a specifiche tradizioni di Israele che, dunque, dovevano necessariamente essere conosciute dai suoi lettori.
Matteo struttura il suo testo attorno a cinque grandi discorsi pronunciati da Gesù nei quali è distribuito tutto l’insegnamento del Maestro:
il discorso della montagna (capitoli 5-7), il discorso di invio in missione (cap.10), le parabole del Regno di Dio (cap.13),
il discorso ecclesiale sulla vita della comunità (cap.18) e il discorso sul ritorno del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi (cap.24-25).
Attraverso lo stile discorsivo e la narrazione ampia degli eventi e dei detti di Gesù (fra i Vangeli sinottici Matteo è quello che concede il più ampio
spazio alle parole di Gesù) il Vangelo di Matteo divenne sin da subito un documento fondamentale a supporto della predicazione e della catechesi della Chiesa.
Dal punto di vista della prospettiva teologica l’evangelista Matteo, anche attraverso l’inserimento dei racconti dell’infanzia, presenta Gesù come il Messia
promesso dell’Antico Testamento, colui nel quale si sono adempiute le Scritture. Matteo annuncia Gesù come l’Emmanuele, il Dio con Noi, che è venuto a mostrarci
la prossimità del Regno di Dio nella nostra storia e che ha incaricato la comunità dei suoi discepoli, la Chiesa (Matteo è l’unico tra gli evangelisti a
utilizzare a parola «Chiesa»), di proseguire la sua missione di Salvezza.
1. Così dispone la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia «Sacrosanctum Concilium» (4 dicembre 1963) al n.51. In realtà, l’importanza della parola di Dio, come anche la necessità di un rinnovato e più abbondante impiego della sacra Scrittura nella celebrazione liturgica sono più volte indicati nella «Sacrosanctum Concilium» (si vedano ad esempio i numeri 7, 24, 33, 35, 48, 51, 52, 56), e sono stati anche oggetto di numerosi pronunciamenti del Concilio Vaticano II, nel magistero dei Pontefici e in documenti della Santa Sede.
2. Così è stato disposto al num. 66.2 del riformato «Ordinamento delle Letture della Messa». In questo modo, considerando che ogni anno vengono proposti brani biblici diversi, nell’arco del triennio viene letta ampia parte della Bibbia.
3. I successivi due anni, contraddistinti dalle lettere “B” e “C”, sono rispettivamente gli anni in cui si legge principalmente Marco e Luca.
4. La chiamata di Matteo è narrata in Mt 9,9; Mc 2, 13-17 e Lc 5, 27-30.
5. Benedetto XVI, Udienza Generale, 30 agosto 2006.
6. In Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, III, 39, 16.
7. Ibid, III, 24, 6.